“MAESTRA, OGGI LE FACCIAMO LE QUATTRO CHIACCHIERE?” Alla scuola dell’infanzia di Mechel, “discutendo si impara” … a dare significato alla realtà!



di Veronica Chilovi, insegnante della scuola dell’infanzia di Mechel, e Ilaria Mancini, coordinatrice delCircolo di Cles 1
 


“È faticoso ascoltare i bambini. Avete ragione.
Poi aggiungete: perché bisogna mettersi al loro livello, abbassarsi, inclinarsi, farsi piccoli.
Ora avete torto. Non è questo che più stanca.
È piuttosto il fatto di essere obbligati ad innalzarsi fino all’altezza dei loro sentimenti.
Tirarsi, allungarsi, alzarsi sulla punta dei piedi. Per non ferirli.”
((Janusz Korczak, 2013)
 

Nel momento che segue il pranzo, prima di organizzare l’attività pomeridiana, i bambini interessati (solitamente cinquenni, ma anche alcuni bambini di quattro e tre anni) e la maestra si ritrovano in cerchio, o seduti intorno ad un tavolo, ed iniziano a “chiacchierare”. Questa occasione speciale è nata in maniera inattesa, un pomeriggio quando, mettendo pensiero sull’organizzazione dei bambini nei piccoli gruppi, è balenata l’idea: “Su, venite qua, facciamo quattro chiacchiere, dai! Ma… lo sapete cosa significa fare quattro chiacchiere?”. I bambini hanno accolto la sfida e da quel giorno arrivano con domande che riguardano l’esistenza tutta: dall’origine della vita ai pannelli fotovoltaici, a cosa siano i sogni e i denti da latte, per argomentare anche su miele, fossili e automobili d’epoca, passando attraverso il disquisire sul significato di elettricità e cancelli automatici.Nel corso dello scorso anno scolastico e ad oggi, sono state audioregistrate e integralmente trascritte 58 discussioni (a cui si aggiungono altre 25 da scrivere!); le discussioni hanno durata media di circa 40 minuti.
L’argomento viene deciso dai bambini, che portano esperienze o questioni vissute come particolarmente rilevanti: tutti hanno spazio per proporre e proporsi. Da qui in poi, su sollecitazione e provocazione da parte dell’insegnante, la discussione avanza, nel costruirsi di un ragionamento/discorso collettivo…talvolta qualcuno si allontana, ma molto più spesso si aggiungono bambini per intervenire o semplicemente per ascoltare.

Ognuno ha il diritto di esprimere il suo pensiero e le sue considerazioni o ipotesi che “diventano un reale oggetto di interesse perché qualcosa di nuovo può apparire sulla scena anche per l’insegnante, che può reagire in modo personale. Queste situazioni assomigliano di più a quelle della vita fuori della scuola (…) quando la scuola assomiglia alla “vita normale”, l’attenzione aumenta”. (Fasulo, Pontecorvo, 2022, pag. 126).
Le “quattro chiacchiere” sono occasione per dare voce agli interrogativi dei bambini, in termini sinceri, appassionati e interessati da parte dell’adulto: non è solo l’insegnante a dire di cosa parlare, si parla anche di quello che dicono i bambini!
Le proposte sono contemporanee, autentiche, complesse, si slanciano verso orizzonti che – forse – noi come adulti non saremmo abbastanza capaci o coraggiosi da porre. Le domande che i bambini si pongono e che pongono al gruppo, i loro dubbi, hanno una portata epistemica corposa: all’adulto sta esaltarne la rilevanza e, come in questa esperienza, metterle al centro di un’interazione fitta di discorsi che puntano a pensare insieme in una dimensione di costruzione di intersoggettività intesa come “convinzione reciproca dei partecipanti all’interazione, in virtù dell’emissione e della presa degli atti comunicativi, di partecipare congiuntamente allo stesso aspetto della situazione in cui sono coinvolti (Rommetveit, 1985)” (Wells, 1993, pag. 359)

Prendendo in prestito le parole del maestro Franco Lorenzoni (2014, pag. 20): “rimango spesso stupito quando assisto alla meraviglia del nascere di un pensiero e perché penso che il bello, nel dialogare, stia proprio nella tensione di ciascuno a cercare di chiarirsi un’idea tramite parole che nascono in un gioco di reciproco ascolto e di scambio che, quando s’innesca, sembra non avere fine”.
Le quattro chiacchiere sono uno dei luoghi entro i quali emerge la narrazione come ricerca e costruzione sociale del significato, come forma che “si occupa delle vicissitudini delle intenzioni umane” (Bruner, 1986, p. 23). Attraverso la narrazione gli esseri umani non solo rendono intellegibile la realtà (Ricoeur, 1984) ma rappresentano, al contempo, la propria esistenza in forma di racconto. Lo sviluppo identitario è dunque intimamente legato al pensiero narrativo. La costruzione – ricostruzione dell’identità personale si accompagna così alla co-costruzione della realtà circostante attraverso processi di negoziazione intersoggettiva dei significati da attribuire a circostanze, fenomeni e atteggiamenti (Bruner, 1986).

Le quattro chiacchiere allora sono uno spazio abitato da un lato dalle rappresentazioni della realtà costruite dal punto di vista dei bambini e dall’altro dalle identità dei bambini, in continua (ri)costruzione dialogica nell’interazione con gli altri, compagni significativi nella creazione di una visione del mondo.
I territori attraverso i quali le quattro chiacchiere si dispiegano sono molteplici; in questa occasione si propongono delle “piccole incursioni” entro alcuni di essi, considerandoli emblematici rispetto alle geografie discorsive complesse disegnate insieme nel corso del tempo dai bambini con l’insegnante.
Un primo estratto si riferisce al discutere su mezzi di trasporto, più nello specifico della differenza tra motorini e moto:

I bambini si confrontano sulle caratteristiche specifiche dei due mezzi, addentrandosi in una distinzione che riguarda il numero di ruote presenti. Matteo si oppone all’ipotesi di Giacomo circa l’attribuzione di due ruote alla motocicletta e tre al motorino: confuta la tesi del compagno introducendo una nuova categoria, quella delle “motorele”, una sorta di macchina a tre ruote, e ribadendo che i motorini hanno, come le motociclette, soltanto due ruote. A sostegno dell’ipotesi di Giacomo giunge l’affermazione di Davide (intervento 121), con la ridefinizione a seguire di Marco, il quale allude alle motociclette con il sidecar in cui, effettivamente, oltre alle due ruote della motocicletta c’è una terza ruota su cui appoggia il sedile del passeggero a lato. Matteo rilancia poi in conclusione (intervento 123) richiamando l’esistenza di automobili d’epoca che avevano una simile connotazione: nella sua chiosa finale “io lo so” ribadisce il suo expertise rispetto all’argomento.

Consideriamo questo stralcio di discussione significativo rispetto al dar conto sia del forte grado di conoscenza dei bambini rispetto a mondi specifici e “tecnici” (i motori e la loro meccanica), sia ai meccanismi da loro messi in atto nella costruzione intersoggettiva di un significato. Passando per l’esplicitazione di una tesi, cui segue un gioco di argomentazione e contro-argomentazione fondate sul richiamo di dati di conoscenza ed esperienza personale, i bambini approdano (pur provvisoriamente!) alla definizione di una casistica condivisa in cui il repertorio di riferimento si arricchisce di intervento in intervento: moto, motorini, motorele, moto con sidecar, macchine d’epoca con caratteristiche particolari (tre ruote).

Nell’estratto che segue, invece, l’insegnante rimette al centro della discussione un elemento introdotto dai bambini nel parlare tra loro di tornadi e cicloni: chiede di riflettere sui meccanismi associativi che hanno richiamato alla mente dei bambini il fenomeno del vortice.

Dopo un paio di interventi dei bambini, l’insegnante recupera nuovamente il focus che vuole porre al confronto tra loro (intervento 65) e chiede di ragionarne. Nell’inanellarsi dei turni discorsivi, si individua nel movimento rotatorio (si vedano gli interventi 68 e 70) il meccanismo che accomuna i diversi fenomeni e giustifica l’associazione stabilita con il termine del vortice.
Questa linea discorsiva si intercala però con l’interconnettersi tra gli interventi di Leonardo (intervento 67) e Davide (intervento 74): il pensiero della trasparenza del vortice d’acqua sembra permanere nel flusso discorsivo (per così dire!) fino a chiudersi nella notazione di Davide, riferita al vortice che l’acqua descrive nel lavandino, girando velocissimo (intervento 70) nel risucchiare (intervento 73).

Riteniamo che questi due esempi siano interessanti rispetto a come nel discutere si costruisca un pensiero/discorso di matrice reticolare che connota l’evento conversazionale come evento sociale: la trama riflessiva e discorsiva si nutre di balzi associativi, di interconnessioni tra turni secondo gradi di prossimità più o meno circoscritti, di espansioni dell’universo di significati cui appellarsi per costruire un ragionamento collettivo.
I bambini “pensano grande”, e quando un adulto li ascolta “alzandosi sulla punta dei piedi” – sostenendoli nel costruire insieme conoscenze e ipotesi sulla realtà (anche accettando di muoversi in ambiti di cui egli stesso non è esperto!) e riconoscendo valore alle loro parole –, rendono accessibile la loro grande competenza nel dare forma insieme a pensieri, introspezioni, interpretazioni, visioni della vita.

 
“Mi rendo conto che l’intento che mi ha spinto a raccontare

sta nel desiderio di affermare con forza che i bambini devono essere ascoltati,
perché di fronte al bello, alle difficoltà e anche alle tragedie della vita,
sono capaci di nitidezza ed autenticità rare, che credo faccia bene a tutti incontrare.”
(Franco Lorenzoni, 2014, pag. 13)




 

Riferimenti bibliografici
Bruner, J.S. (1986), La mente a più dimensioni. (trad. it. Roma-Bari Laterza, 1994).
Fasulo, A., Pontecorvo, C. (2022), Come si dice? Linguaggio e apprendimento in famiglia e a scuola, Roma, Valore Italiano Editore.
Korczac, J. (1924), (trad. it. 2013), Quando ridiventerò bambino, Milano, Luni editrice.
Lorenzoni, F. (2014), I bambini pensano grande, Palermo, Sellerio Editore.
Pontecorvo, C., (1993), (a cura di) La condivisione della conoscenza, Firenze, La Nuova Italia.
Ricoeur, P. (1984), Time and Narrative, Chicago, University of Chicago Press (trad. it. Tempo e racconto, Milano, Jaka Book, 1986).
Rommetveit, R., (1985), Language acquisition as increasing linguistic structuring of experience and symbolic behavior control, in Wertsch, J.V. (ed.), Culture, communication and cognition: Vygotskian perspectives, Cambridge, Cambridge University Press.
Wells, G. (1993), Intersoggettività e costruzione di conoscenze, in Pontecorvo, C., (a cura di) La condivisione della conoscenza, Firenze, La Nuova Italia, pag. 353-381.
Wertsch, J.V. (ed.) (1985), Culture, communication and cognition: Vygotskian perspectives, Cambridge, Cambridge University Press.


F.P.S.M.

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